Mondo

Un Paese allo sbando. La Colombia? Peggio dell’Iraq

Il presidente Álvaro Uribe lancia l’allarme: la vera minaccia terroristica non è Saddam bensì il narcotraffico. E chiede l’aiuto militare di Washington.

di Paolo Manzo

La minaccia terrorista non è in Iraq, è in Colombia”. Questo il grido d?allarme lanciato da Álvaro Uribe, allineato da sempre al fianco degli Stati Uniti d?America e che, da quando è stato eletto, ha incentrato il suo programma di governo sulla lotta al terrorismo. Uribe ha chiesto a Washington di dispiegare una forza navale e aerea per combattere il narcotraffico nel suo Paese, proprio come quella che Bush ha intenzione di usare contro Saddam. Insomma ha reclamato che la Colombia sia trattata? come l?Iraq. Perché così si potrà ridurre, cito testualmente, “la fonte di finanziamento dei gruppi terroristi”. Che la situazione in Colombia sia da anni al limite della sopportazione non è una novità ma, di sicuro, ci si aspettava di più da Uribe, un presidente perfettamente allineato alle politiche neoliberiste del Fondo monetario internazionale e degli Stati Uniti d?America e il cui cavallo di battaglia, in campagna elettorale, non erano state le politiche sociali, bensì la lotta a terrorismo e Farc. Oggi, invece, le Forze armate rivoluzionarie colombiane controllano, nel sud del Paese, una porzione di territorio superiore a quella della Svizzera. La richiesta di aiuto militare da parte del presidente Uribe era già stata riportata dal quotidiano argentino El Clarin, il 16 gennaio scorso. Ma pochi l?avevano presa sul serio, considerandola una ?boutade? poco credibile del giornale più diffuso a Buenos Aires. Dopo l?attentato che ha distrutto il club El Nogal causando oltre 30 vittime e il sequestro di tre cittadini statunitensi da parte delle Farc, Uribe ha ribadito con forza la sua tesi, spiegando in un?intervista rilasciata a Radio Caracol che, per lui, è assai più importante per la stabilità democratica del mondo la guerra al narcotraffico in Colombia di quella contro il raìs. Un allarme che Uribe non lancia a caso in questo momento di venti di guerra, e che può essere interpretato in due modi. Chi è contrario alla guerra di Bush contro Saddam vede nella richiesta del presidente colombiano un modo, forse un po? provocatorio, per far capire a Washington, se mai ce ne fosse bisogno, che una volta aperto il vaso di pandora della guerra preventiva, sarà difficile chiuderlo. Si rischierebbe un?instabilità permanente a livello planetario, in cui diplomazia e negoziato lascerebbero spazio alle armi. Chi, invece, è più addentro ai fragili equilibri del Cono Sur, reputa quello di Uribe un modo come un altro per aprire di più le porte alla presenza militare di Bush in Colombia (dove ci sono già oltre mille truppe speciali Usa) e, per osmosi, nel continente. Uribe, quindi, rischia di essere la testa di ponte con cui gli Stati Uniti d?America tornano a fare una politica aggressiva in Sudamerica. La stessa che, nella prima decade del Novecento, il presidente statunitense Theodore Roosevelt (nessuna parentela con il più famoso Franklin Delano) aveva attuato con risolutezza, al punto da essere trasmessa ai posteri come la politica del ?Big Stick?, del ?grosso bastone?. La crisi irachena, l?uso di eserciti considerato sempre più ?normale? dall?amministrazione Bush per imporre le proprie soluzioni (giuste o sbagliate che siano), la correlata perdita di autorità di quegli organismi multilaterali sorti dalle ceneri della seconda guerra mondiale (Nazioni Unite, Nato e Unione europea): tutti elementi che lasciano spazio per il ritorno della politica Usa del ?grosso bastone? in Sudamerica. Anche se molto dipenderà da quanti saranno gli Uribe disposti ad accettare il bastone made in Usa.


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